La scortecata di Emma Dante è tratto liberamente da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Narra la storia di un re che, avendo sentito la voce di una donna di cui ignora l’aspetto, se ne innamora. Nulla di codesta persona ha veduto se non un un dito infilato nel buco della serratura, da cui immagina fattezze fantastiche, quindi la invita a giacere con lui. Consumato l’amplesso, acquietati i desideri, si rende conto che non una giovane fanciulla ma una vecchia decrepita è stato l’oggetto del suo desiderio. Il racconto prosegue con il re adirato che butta giù dalla finestra la vecchia. Ella rimane però appesa a un albero e una fata di passaggio la trasforma in una bellissima fanciulla, e come tale convola a nozze col re.
Emma Dante porta in scena un racconto essenziale. Attraverso la magnifica interpretazione di Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola si anima una narrazione fatta di corpi e umori. Su un palcoscenico minimale, in cui vi sono solo due sedie, una porta a terra e un castello giocattolo, prendono vita le due anziane sorelle, Rusinella e Carolina, prigioniere di un tempo che scorre lento e sempre uguale a sé stesso, riempito dai soliti racconti di una vita trascorsa, racconti intrisi di rimpianti. Un tempo pesante che inesorabilmente ha inflitto offese ai loro corpi ormai decrepiti, un tempo che nel suo inutile dispiegarsi si vorrebbe passasse in fretta. Barlumi di vitalità si accendono nel ricordare quel che avrebbe potuto essere ma non è stato, ricordi conditi da scambi di umori in dialetto napoletano pregno di coloriti riferimenti. Questo tempo che scorrere viene impiegato in una assurda attività, succhiarsi il dito mignolo nel tentativo di rendere la pelle liscia al pari di quella di un bambino.
Apprendiamo dai loro racconti che il re avendo sentito la voce della più giovane, Rusinella, se ne era innamorato e desiderava ardentemente possederla. Non potendo mostrarsi nella propria cruda vecchiezza le due escogitano di dare prova della di lei beltà esibendo il solo dito mignolo attraverso il buco della serratura e di giacere sì, ma al buio. Ecco che quel che appariva inspiegabile, il succhiarsi il dito, trova una spiegazione, ma l’atto stesso ci rimanda a un’idea di nutrimento, il suggere, da cui siamo animati nei primi anni d’età. Questo desiderio di rinnovamento, il “nutrire” i propri sogni, anche se attraverso una illusione, un inganno, rende le protagoniste vitali. La speranza che qualcosa si possa ancora concretizzare anima i loro corpi decrepiti, dalle movenze lente e affaticate. Una mimica perfetta rende tutta la pesantezza di questi corpi, l’attesa dei gesti lenti riempie lo spazio narrativo, lo spettatore tocca quasi con mano la gravità del tempo. Sull’onda dell’attesa di come sarà questo incontro Rusinella si vede libera da un corpo in cui non si riconosce, appesantito dai tratti maschili, e appare come in un sogno con una rinnovata bellezza, avvolta in aura poetica, magnificamente femminile. Ma il salto dalla poesia alla prosa avviene allorquando, concessasi al re, si scopre la nuda verità.
Ecco che Rusinella chiede alla sorella di scorticarla, convinta che una volta liberatasi di quell’involucro di vecchia, sarebbe apparsa rinnovata nel corpo, al pari di una crisalide. Un’anima sofferente che non si riconosce nel proprio aspetto e si sacrifica per una rinascita. Lo spettacolo si chiude sulla scena di Carolina che brandisce un pugnale, nell’atto prima di dare inizio allo scorticamento. Il pubblico avverte tutta la tensione di questo gesto dettato da una volontà di sacrificarsi pur di superare la realtà, travalicare quella linea sottile che ci divide dai propri sogni. Sogni disattesi in una vita trascorsa nelle illusioni del possibile, senza mai dar loro concretezza. Si cerca alfine, attraverso un sacrificio estremo, di rendere possibile ciò che per una vita intera ci si è negato.
“Oh, Valentine, un favore,” disse Maximilien “il vostro dito mignolo, che io possa baciarlo attraverso queste assi!”
Valentine salì su una panchina, e passò, non il mignolo attraverso l’apertura, ma tutta la mano al di sopra del recinto. Maximilien mandò un grido, e, arrampicandosi con un balzo sullo steccato, afferrò quella mano adorata, e vi impresse le labbra ardenti; ma subito la piccola mano sgusciò dalle sue, e il giovane sentì fuggire Valentine, spaventata forse per quella sensazione a lei sconosciuta.
Il conte di Montecristo Alexandre Dumas
Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille, noto anche col titolo di Pentamerone (cinque giornate), è una raccolta di cinquanta fiabe raccontate in cinque giornate.
Prendendo spunto dalle fiabe popolari, Giambattista Basile crea un mondo affascinante e sofisticato partendo dal basso. Il dialetto napoletano dei suoi personaggi, nutrito di espressioni gergali, proverbi e invettive popolari, produce modi e forme espressamente teatrali tra lazzi della commedia dell’arte e dialoghi shakespeariani.
Come una partitura metrica, la lingua di Basile cerca la verità senza rinunciare ai ghirigori barocchi della scrittura.
La scortecata è lo trattenimiento decemo de la iornata primma e narra la storia di un re che s’innamora della voce di una vecchia, la quale vive in una catapecchia insieme alla sorella più vecchia di lei. Il re, gabbato dal dito che la vecchia gli mostra dal buco della serratura, la invita a dormire con lui. Ma dopo l’amplesso, accorgendosi di essere stato ingannato, la butta giù dalla finestra. La vecchia non muore ma resta appesa a un albero. Da lì passa una fata che le fa un incantesimo e diventata una bellissima giovane, il re se la prende per moglie.
In una scena vuota, due uomini, a cui sono affidati i ruoli femminili come nella tradizione del teatro settecentesco, drammatizzano la fiaba incarnando le due vecchie e il re. Basteranno due seggiulelle per fare il vascio, una porta per fare entra ed esci dalla catapecchia e un castello in miniatura per evocare il sogno.
Le due vecchie, sole e brutte, si sopportano a fatica ma non possono vivere l’una senza l’altra. Per far passare il tempo nella loro miseria vita inscenano la favola con umorismo e volgarità, e quando alla fine non arriva il fatidico: “e vissero felici e contenti…” la più giovane, novantenne, chiede alla sorella di scorticarla per far uscire dalla pelle vecchia la pelle nuova.
La morale: il maledetto vizio delle femmine di apparire belle le riduce a tali eccessi che, per indorare la cornice della fronte, guastano il quadro della faccia; per sbiancare le pellecchie della carne rovinano le ossa dei denti e per dare luce alle membra coprono d’ombre la vista. Ma, se merita biasimo una fanciulla che troppo vana si dà a queste civetterie, quanto è più degna di castigo una vecchia che, volendo competere con le figliole, si causa l’allucco della gente e la rovina di sé stessa.
Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
https://www.vivaticket.com/it/ticket/la-scortecata/237720